L’arroganza del potere e il buon governo

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arroganzadi Guido Di Stefano

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Forse sono queste le lezioni più “ignorate” della storia: ben diversi sono, per qualità e durata, i frutti della becera arroganza (contro tutti gli “altri”) e del potere fine a se stesso (o se vogliamo ad uso e consumo di chi ne è, per lo più indegnamente e immeritatamente, investito) e quelli della fine diplomazia e del buon governo, che guardano alle nazioni, ai popoli, all’umanità.
Continenti, nazioni, popoli sono stati travolti dalla tracotanza e sicumera di pochi in tempi più o meno rapidi, ma pur sempre brevi.
Eppure l’occidente immemore e miope sta cumulando tutti gli errori del passato.
Velocemente e insieme scorriamo alcune pagine di storia con epicentro il centro del centro del mondo: la Sicilia, centro del Mediterraneo a sua volta centro del mondo.
La dominazione greca in Sicilia si “impantanò” e crollò ingloriosamente specialmente per la “spocchiosità” dei dominatori (in particolare gli Ateniesi), ricordati, nei “miti” dell’isola, positivamente per i monumenti e negativamente per tutto il resto.
Diversa fu la statura dei Romani. Loro riconobbero alla Sicilia il rango di nazione (sovrana) da “gestire” non con le legioni ma con la buona amministrazione (il primo capolavoro di diplomazia internazionale).
Illuminati governanti e abili diplomatici furono gli Altavilla e gli Svevi: tennero un regno che era un impero e riscossero il pieno rispetto dei popoli del Mediterraneo; all’avanguardia nella concezione dello stato e nelle concezioni del diritto oltre che lungimiranti garantisti per le diverse etnie – religioni – culture, al punto da inimicarsi tutti gli arroganti e meschini grandi d’occidente, che (all’occorrenza) invocavano Dio per abbatterli. Furono i tempi in cui Africa e Medio Oriente consideravano la parola del Re (di Sicilia beninteso) un contratto internazionale. Eravamo grandi con i grandi, non con gli arroganti.
Poi, dopo qualche turbolenza espressamente franco-papalina chiusa con i gloriosi Vespri siciliani, vennero tempi meno gloriosi ma pur sempre dignitosi: almeno finchè il buon governo (anche se meno confortato dalla diplomazia) non cominciò a cedere il passo all’arroganza e al potere (oggi arroganza del potere) con l’invasione del regno di Sardegna, cui sono seguiti una logorroica dittatura e una splendida ma “gracile” democrazia (alla cui vita si “attenta” di continuo per volontà a noi ignote e accondiscendenze inspiegabili).
Non sono mai mancati i segni di insofferenza regolarmente stroncati dai conquistatori con gratuiti massacri e utili alleanze.
Ultimo, diciamo in ordine di tempo, fu l’indipendentismo propugnato da Antonio Canepa: massacrato con altri in un punto imprecisato tra le province di Messina e Catania (diverso da quello della storiografia di regime) come sembrano indicare le frammentarie e (in parte) fantasiose testimonianze.
Una recriminazione solleviamo: come potè uno studioso come Canepa fidarsi della parola degli uomini del “yes” (e ci fosse stato lo “oui” non cambiava niente), che almeno dal dodicesimo secolo sono stati espressamente ostili alla Sicilia? Il DNA dei governi imperialisti e guerrafondai non cambia tanto facilmente
E il “buon governo” verso la vera autonomia (in mancanza dell’indipendenza di diritto) fu in qualche modo tentato, a nostro avviso, da alcuni presidenti della regione; citiamo solo alcuni nomi di politici che hanno manifestato interesse per la “sicilianità” della Sicilia, subendone le conseguenze e pagandone il fio, a vario titolo: Silvio Milazzo, Piersanti Mattarella, Rino Nicolosi, Angelo Capodicasa.
Non parliamo della militarizzazione della Sicilia (aborrita come detto dalla Repubblica di Roma) e dei recenti trascorsi dell’isola, che l’hanno resa lo zerbino (nell’ordine) dell’Italia, della NATO, della UE e degli attualmente onnipresenti, ingombranti e arroganti USA.
E passiamo all’Italia.
Temiamo proprio che le grandi arti diplomatiche siano iniziate e finite con Camillo Benso conte di Cavour: da quel poco che ricordiamo che gli uniti trattati internazionali onorati negli italici confronti siano stati quelli da lui stipulati; non vogliamo rivangare le beffe subite dai nostri “successivi statisti” ai tavoli di pace “mondiali” di Parigi, conseguenti a due guerre mondiali, donde i “nostri” sono tornati “piangendo e sospirando”. Forse sarebbe stato un bene per tutti gli Italiani avesse goduto di buona salute e lunga vita come gli “eterni” dell’Italia repubblicana.
Erano bravi all’inizio i rappresentanti del popolo: umili (diplomatici) e servitori (coscienti) del popolo sovrano. Ci hanno dato un’ottima costituzione e per circa tre lustri (nonostante le beghe di partito) hanno prodotto leggi che erano riforme. Poi hanno gradualmente perso contatto con le genti, fossilizzandosi sulle poltrone delle stanze di palazzo, deridendo i critici e ostacolando (in ogni modo e soprattutto in tutti i modi con cui la legge “glielo permetteva”) le aspirazioni e ambizioni di rinnovamento e ricambio generazionale. Ed oggi raccogliamo gli amari ed indigesti frutti, il trionfo di ambienti riservati noti e meno noti.
L’Europa poi è da Oscar!
Accecata dalla disinformazione franco-anglo-americana ha aderito alla NATO e partecipato alla guerra fredda anti-sovietica: Stalin era già diventato nemico dell’Europa (anzi del mondo libero) prima che le armi si quietassero a Berlino.
Alcuni saggi Europei hanno provato ad aggregare e unificare i popoli europei, non “contro questo o quello” ma per qualcosa di duraturo e universale: pace, libertà, fratellanza, universalità. Hanno provato: mossi da fede incorruttibile e orgoglio che stava “come torre ferma, che non crolla giammai la cima per soffiar dei venti”; fidando in successori degni, non arroganti ma diplomatici (e umili) servitori dei popoli; magari sperando in una immediata vittoria contro l’occulto (ma poi non tanto) fascino del dio denaro.
E non pensiamo affatto che siano difetti genetici degli Europei la miopia, la malafede, l’arroganza del potere di recente “emersione”. Forse è tutto riconducibile alla prevaricazione del potere finanziario-bancario, già germogliata prima delle due grandi guerre?
Basta ricordare che quando ancora molti Europei ragionavano liberamente in proprio fu un inglese e precisamente sir Halford Mackinder (come leggiamo altrove) che nel gennaio 1904 sostenne che il futuro del potere globale risiedeva nel controllo della vasta massa di terra chiamata “Euro-Asia” , che lui battezzò “Heartland”. La sua mappa del mondo mostrava Africa, Asia, Europa come una unica entità, una vera e propria “isola mondo”. E nel “suo” Heartland Mackinder configurava la leva di Archimede della futura potenza mondiale. “Chi domina l’Heartland comanda l’Isola-Mondo”, riassumeva sir Halford . “Chi domina l’Isola-Mondo comanda il mondo” furono le sue (profetiche) parole.
Il precipitarsi di tanti avvenimenti sembra indicare che in Oriente (Russia e Cina principalmente) hanno studiato il pensiero del sir inglese, come hanno studiato anche “L’arte della guerra”.
Non sembra che il pensiero di Mackinder sia mai stato oggetto di riflessione dei governanti europei, che acriticamente assecondano gli inviti alla guerra dell’impero USA(to)?
Magari lì, oltre oceano, conoscono questa “obliata” possibilità e ne tengono ostile la porzione ovest dell’Europa che in qualche modo potrebbe servire: o come merce di scambio o come colonia-mercato residuale dell’impero yankee!
E’ un caso che sua maestà d’America ha ordinato il procrastinarsi delle sanzioni anti-russe fino al 2016? Non crediamo proprio. Di contro che proprio il 2016 segnerà la grande definitiva sconfitta di quell’Europa che poteva essere grande tra i grandi. E invece si presenta con “colossi” umili con i potenti e arroganti con gli umili, pronti a rinnegare i loro stessi impegni e a non “pagare” il fio per le tragedie che li vedono attori e/o complici (fuggitivi e calamità varie afro-asiatiche).

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Molti hanno perduto anche altre imperiture grandi lezioni del passato: “Chi vuole essere il primo deve essere il servitore di tutti”; “Chi non sa ubbidire non saprà mai comandare”!
Quanti primi attori del palcoscenico politico si mettono al servizio dei popoli? E quanti sono gli urlatori del passato hanno smesso (ora che sono al potere) di urlare, inveire, ridicolizzare, demonizzare, perseguire i pensatori non allineati?
Forse è il caso di dirlo: “Prevaricatorio una volta (o un periodo), prevaricatorio una vita!”

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